La dottrina della scienza è quel sapere «assolutamente certo e infallibile» che si identifica con l’esposizione del «sistema dello spirito umano». Tale sapere prende la forma di una scienza della scienza, ossia di una teoria volta a mettere in luce il principio primo ossia l’Io su cui si fonda ogni scienza, per poi dedurre da esso ogni realtà.
Principi della Dottrina della scienza, ossia le cosiddette «proposizioni fondamentali della deduzione fichtiana, sono tre. La prima afferma che «L’Io pone se stesso». La seconda che «L’Io pone un non-io». La terza che «L’Io oppone nell’Io ad un io divisibile un non-io divisibile».In altri termini, la prima proposizione stabilisce come il concetto di Io in generale si identifichi con quello di un’attività auto-creatrice ed infinita.
La seconda stabilisce che l’Io non solo pone se stesso, ma oppone anche a se stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto è non-io. Tale non-io è tuttavia posto dall’Io ed e quindi nell’Io.
Il terzo principio mostra come l’Io, avendo posto il non-io, si trovi ad essere limitato da esso, ovvero ad esistere sotto forma di un io “divisibile” (= molteplice e finito ) avente di fronte a sé altrettanti oggetti divisibili.
Il secondo principio, osserva Fichte, non risulta, a rigore, deducibile dal primo «poiché la forma dell’opporre è così poco compresa nella forma del porre, che le è anzi piuttosto opposta». Il che è un modo per dire che il finito non risulta deducibile dall’infinito, ossia che «fra l’assoluto e il finito v’è un intervallo, uno iato, una soluzione di continuità».
Tutto ciò non toglie, come risulta chiaro soprattutto dalla terza ed ultima parte della Dottrina della scienza che il non-io funzioni da «urto» indispensabile per mettere in moto l’attività dell’Io e si configuri quindi come condizione necessaria affinché vi sia un soggetto reale: «L’attività dell’Io procedente all’infinito deve essere urtata in un punto qualunque e respinta in se stessa [...]. Che questo accada, come fatto, non si può assolutamente dedurre dall’Io, come più volte è stato ricordato; ma si può certamente dimostrare che questo fatto deve accadere, affinché una coscienza reale sia possibile».
In altri termini, pur essendo indeducibile, in assoluto, dall’equazione Io = Io, il non-io risulta indispensabile per spiegare l’esistenza di una coscienza concreta, la quale postula necessariamente la struttura bipolare soggetto-oggetto, attività-ostacolo, posizione-opposizione: «quell’opposto non fa se non mettere in movimento l’Io per l’azione, e senza tale primo motore al di fuori di esso, l’Io non avrebbe mai agito; e poiché la sua esistenza non consiste se non nell’attività, non sarebbe neppure esistito».
Il principio primo del sapere è, per Fichte, l’Io stesso. Infatti, ogni altro preteso principio (ad es. la legge di identità: A = A) presuppone l’Io ed è posto dall’Io: «Noi siamo partiti dalla proposizione: A = A, non come se da essa si potesse dedurre la proposizione: Io sono, ma perché dovevamo partire da una qualunque proposizione certa, data nella coscienza empirica. Ma anche nella nostra spiegazione si è visto che non la proposizione: A = A è il fondamento della proposizione: Io sono, ma che piuttosto quest’ultima è il fondamento della prima». A sua volta, l’Io non è posto da altri, ma si configura come un’attività auto-creatrice che si pone da sé.
IO o GRANDE IO = Per IO Fichte intende «il principio assolutamente primo, assolutamente incondizionato, ovvero un’attività autocreatrice, libera, assoluta ed infinita. In Fichte assistiamo quindi ad una sorta di enfatizzazione metafisica dell’Io, che da semplice condizione del conoscere (com’era l’«Io penso» di Kant) diviene la fonte del reale.
L’Io è un’attività autocreatrice poiché esso, a differenza delle cose, che sono quello che sono, pone o crea se stesso: «Ciò il cui essere (o la cui essenza) consiste puramente nel porsi come esistente, è l’Io come soggetto assoluto»; «L’Io è quel che esso si pone».
LIBERTA’=In quanto attività auto-creatrice, l’Io risulta strutturalmente libertà. «L’assoluta attività la si chiama anche libertà. La libertà è la rappresentazione sensibile dell’auto-attività».
Non-io. Con questo termine Fichte intende il mondo oggettivo in quanto è posto dall’Io ma opposto all’Io; “Nulla è posto originariamente tranne l’Io; questo soltanto è posto assolutamente. Perciò soltanto all’Io si può opporre assolutamente. Ma ciò che è opposto all’Io è = Non-io». «Non-io», «oggetto», «ostacolo», «natura», «materia» ecc. in Fichte sono tutti termini equivalenti. In concreto, il non-io si identifica con la natura interna (il nostro corpo e i nostri impulsi) ed esterna (le cose, il mondo).
L’io finito o «divisibile» o «empirico» è l’Io, il quale, avendo posto il non-io, si trova ad essere limitato da esso, cioè ad esistere concretamente sotto forma di un individuo condizionato dalla natura (interna ed esterna) e per il quale la «purezza» dell’Io assoluto rappresenta solo un ideale o una missione.
Il rapporto fra l’Io infinito e gli io finiti può essere descritto dicendo che l’Io non è tanto la sostanza o la radice metafisica degli io finiti, quanto la loro meta ideale. Anzi, l’infinito per l’uomo più che consistere in un’essenza già data, si configura come dover-essere e missione. Tanto più che l’Io infinito coincide con un Io assolutamente libero, ossia con uno spirito scevro di ostacoli e di limiti. Situazione che per l’uomo rappresenta una semplice aspirazione. Di conseguenza, dire che l’Io infinito è la missione o il dover-essere dell’io finito significa dire che l’uomo è uno sforzo infinito verso la libertà, ovvero una lotta inesauribile contro il limite. Infatti, se l’uomo. riuscisse davvero a vincere tutti i suoi ostacoli, si annullerebbe come Io, cioè come attività.
L’Autocoscienza di cui parla Fichte si identifica con l’Io, ovvero con la consapevolezza che il soggetto ha di se medesimo. Consapevolezza che sta alla base di ogni conoscenza. Infatti, io posso avere coscienza di un oggetto qualsiasi solo in quanto ho nello stesso tempo coscienza di me stesso: «Non si può pensare assolutamente nulla senza pensare in pari tempo il proprio Io come cosciente di se stesso; non si può mai astrarre dalla propria autocoscienza». In quanto Autocoscienza, l’Io risulta quindi, per definizione, un’attività che ritorna sopra di sé.
La deduzione fichtiana è la dimostrazione e la giustificazione sistematica di tutte le proposizioni della filosofia per mezzo dell’Io. A differenza di quella kantiana, che è una deduzione trascendentale o gnoseologica, cioè diretta a giustificare le condizioni soggettive della conoscenza (le categorie), la deduzione fichtiana è una deduzione assoluta o metafisica, poiché intende servirsi dell’Io, che a sua volta è indeducibile, essendo dato a se stesso tramite un atto di intuizione intellettuale, per spiegare l’intero sistema della realtà: «Tutto il dimostrabile deve essere dimostrato – tutte le proposizioni debbono essere dedotte tranne quel primo e supremo principio».
La scelta fra idealismo e dogmatismo secondo Fichte dipende da come si è come uomini, ossia da un’opzione etica di fondo, in quanto l’individuo fiacco e inerte sarà spontaneamente portato al dogmatismo e al naturalismo, mentre l’individuo solerte e attivo sarà spontaneamente portato all’idealismo: «La ragione ultima della differenza fra idealista e dogmatico è [...] la differenza del loro interesse. L’interesse supremo, principio di ogni altro interesse, è quello che abbiamo per noi stessi. Il che vale anche per il filosofo. La scelta di una filosofia dipende da quel che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un’inerte suppellettile, che si può lasciare o prendere a piacere, ma è animato dallo spirito dell’uomo che l’ha. Un carattere fiacco di natura o infiacchito e, piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dalla servitù spirituale, non potrà mai elevarsi all’idealismo»
Il dogmatismo, secondo Fichte, è quella posizione filosofica che consiste nel partire dalla cosa in sé e dall’oggetto per poi spiegare, su questa base, l’io o il soggetto. In virtù delle sue premesse, l’idealismo, che è una forma di realismo in gnoseologia e di naturalismo in metafisica, finisce sempre per sfociare nel determinismo e nel fatalismo: «ogni dogmatico conseguente e per necessita fatalista, nega del tutto quell’autonomia dell’Io su cui l’idealista costituisce, e fa dell’Io nient’altro che un prodotto delle cose, un accidente del mondo: il dogmatico conseguente è per necessita anche materialista»
L’idealismo, secondo Fichte, è quella posizione filosofica che consiste nel partire dall’Io e dal soggetto per poi spiegare, su questa base, la cosa o l’oggetto: «II contrasto tra l’idealista e il dogmatico consiste propriamente in ciò: se l’autonomia dell’io debba essere sacrificata a quella della cosa o viceversa»; «L’essenza della filosofia critica consiste in ciò, che un Io assoluto viene posto come assolutamente incondizionato e non determinabile da nulla di più alto»; «Nel sistema critico la cosa è ciò che è posto nell’Io; nel dogmatico, ciò in cui l’Io stesso è posto».
La difesa della autonomia e incondizionatezza dell’Io fa sì che l’’idealismo si configuri, per definizione, come una dottrina della libertà.
Primato della ragion pratica. Fichte intende il fatto che la conoscenza e l’oggetto della conoscenza esistono solo in funzione dell’agire: "La ragione non può essere neppure teoretica, se non è pratica"; “Tu non esisti per contemplare e osservare oziosamente te stesso o per meditare malinconicamente le tue sacrosante sensazioni; no, tu esisti per agire; il tuo agire e soltanto il tuo agire determina il tuo valore”. «Noi agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché siamo destinati ad agire; la ragion pratica è la radice di ogni ragione».
Si ha con Fichte una forma di moralismo metafisico che vede nell’azione la ragion d’essere e lo scopo ultimo dell’universo.
La morale, per Fichte, consiste nell’azione dell’Io sul non-io e assume la forma di un dovere volto a far trionfare, al di là di ogni «ostacolo», lo spirito sulla materia. Dovere che esprime il senso di quello sforzo che è l’Io: «Il mio mondo è oggetto e sfera dei miei doveri, e assolutamente niente altro...»
Il compito supremo dell’uomo è quello di avvicinarsi indefinitamente alla perfezione: «Il fine ultimo dell’uomo è quello di sottomettere ogni cosa irrazionale e diventare libero secondo la sola sua legge, fine che non è affatto raggiungibile e tale deve eternamente rimanere se l’uomo non deve cessare di essere uomo per diventare Dio. Dallo stesso concetto di uomo ricaviamo che il suo fine è irraggiungibile e la via che porta ad esso infinita. Non è dunque il raggiungimento di questo fine la missione dell’uomo. Ma egli può e deve perpetuamente avvicinarsi ad esso e questo infinito avvicinarsi al fine è la sua missione di uomo, cioè di essere razionale eppur finito, sensibile eppur libero. Quel pieno accordo con se stesso si chiama perfezione nel più alto significato della parola; la perfezione è dunque il più alto e irraggiungibile fine dell’uomo e il perfezionamento all’infinito è la sua missione. Egli esiste per divenire sempre migliore e per rendere tale tutto ciò che materialmente e moralmente lo circonda.
La missione del dotto, in quanto educatore e maestro dell’umanità, e quella di additare i fini essenziali del vivere insieme e di segnalare i mezzi idonei per il loro conseguimento, in vista del perfezionamento progressivo della specie.
Il pensiero del primo Fichte è stato denominato idealismo soggettivo ed etico in quanto fa dell’Io o del soggetto il principio da cui tutto deve essere dedotto e concepisce l’azione morale come la chiave di interpretazione della realtà.
Per immaginazione produttiva Fichte intende l’atto inconscio attraverso cui l’Io pone, o crea, il non-io, ovvero il mondo oggettivo di cui l’io finito ha coscienza: «ogni realtà – ogni realtà per noi, si capisce, come del resto non può intendersi altrimenti in un sistema di filosofia trascendentale – non è prodotta se non dall’immaginazione»; «nella riflessione naturale, opposta a quella artificiale della filosofia trascendentale [...] non si può indietreggiare se non fino all’intelletto, e in questo si trova poi, certamente, qualcosa di dato alla riflessione, come materia della rappresentazione; ma del modo come ciò sia venuto nell’intelletto, non si è coscienti. Da qui la nostra salda convinzione della realtà delle cose fuori di noi e senza alcun intervento nostro, perché non siamo coscienti della facoltà che le produce. Se nella riflessione comune noi fossimo coscienti, come certo possiamo esserlo nella riflessione filosofica, che le cose esterne vengono nell’intelletto solo per mezzo dell’immaginazione, allora vorremmo di nuovo spiegare tutto come illusione, e per questa seconda opinione avremmo torto non meno che per la prima ».
Per intuizione intellettuale intende l’auto-intuizione immediata che l’Io ha di se stesso in quanto attività auto-creatrice. Attività per la quale conoscere qualcosa (se medesimi o gli oggetti) significa fare o produrre tale qualcosa ed esserne, implicitamente o esplicitamente consapevoli. Uno dei testi più significativi ed accessibili di Fichte afferma: «chiamo intuizione intellettuale quest’intuizione di se stesso di cui è ritenuto capace il filosofo, nell’effettuazione dell’atto con cui insorge per lui l’io. Essa è la coscienza immediata che io agisco, e di ciò che agisco: essa è ciò per cui so qualcosa perché la faccio. Che una tale facoltà dell’intuizione intellettuale esista, non si può dimostrare per concetti, ne si può sviluppare da concetti quello che essa è. Ognuno deve trovarla immediatamente in se stesso, altrimenti non imparerà mai a conoscerla. La richiesta di dimostrargliela per ragionamenti è ancor più sorprendente di quella, ipotetica, di un cieco nato di spiegargli, senza ch’egli debba vedere, che cosa sono i colori. E’ pero possibile dimostrare a ciascuno nella sua esperienza personale da lui stesso ammessa che quest’intuizione intellettuale è presente in tutti i momenti della sua coscienza. Io non posso fare un passo, muovere una mano o un piede, senza l’intuizione intellettuale della mia autocoscienza in queste azioni; solo merce quest’intuizione so di essere io a compierli, solo in forza di essa distinguo il mio agire, e me in esso, dall’oggetto, in cui m’imbatto, dell’azione. Chiunque si attribuisce un’attività fa appello a quest’intuizione. In essa è la fonte della vita, e senza di essa è la morte».
In quanto assoluto, l’Io è infinito. Infatti, tutto ciò che esiste soltanto nell’Io e per l’Io, il quale, di conseguenza, ha tutto dentro di sé e nulla fuori di sé: «In quanto è assoluto l’Io è infinito e illimitato. Esso pone tutto ciò che è; e ciò che esso non pone, non è (per esso; è fuori di esso non c’e nulla). Quindi, in questo riguardo, l’Io abbraccia in sé tutta la realtà...».
venerdì 15 gennaio 2010
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Esercizi su Fichte
Test su Fichte e Schelling
1. A proposito di quale filosofo parliamo di Idealismo etico?
a) Hegel
b) Kant
c) SChelling
d) Fichte
2. A proposito di quale filosofo parliamo di Idealismo estetico
a) Schelling
b) Kant
c) Fichte
d) Hegel
3. Che cos'è l'Io per Fichte?
a) Il principio incondizionato del reale
b) L’io penso
c) L’io dei singoli soggetti empirici
d) La natura
4. Cosa accade nel primo momento dialettico del movimento dialettico dell'Io puro?
a) L’io annulla se stesso
b) L’Io oppone a sé un non-Io
c) L’io pone se stesso
d) L’Io intuisce il mondo e diventa assoluto
5. Cosa accade nel secondo momento del processo dell'Io puro?
a) L’Io diventa assoluto
b) L’Io oppone a sé un non-Io
c) L’Io pone se stesso
d) L’Io si aliena, esce da sé e diventa natura
6. Cosa accade nel terzo momento del processo dell'Io puro?
a) L’Io pone se stesso
b) L’io annulla se stesso
c) L’Io conquista l’assoluto
d) Io e non-Io si limitano reciprocamente
7. Da che cosa è costituita, secondo Fichte, l'azione morale?
a) Dall’azione dell’Io sul non-Io
b) Dall’azione del non-Io sull’Io
c) Dall’attività dell’Io
d) Dall’alienazione dell’Io nella natura
8. Qual è il principio originario della dottrina della scienza di Fichte?
a) A=A
b) IO= IO
c) A=IO
d) A= non A
e) Nessuna delle precedenti
11. In cosa consiste secondo Fichte la missione dell'uomo
a) Nel favorire il progresso dell’umanità e operare per il perfezionamento morale degli altri uomini
b) Nel reprimere e vincere le inclinazioni sensibili, acquisendo così maggior libertà
c) Nel seguire le inclinazioni sensibili e gli impulsi, dicendo sì alla vita
d) Ricercando la libertà interiore isolandosi dal mondo.
12. In cosa consiste secondo Fichte la missione del dotto?
a) Nella civilizzazione dell’umanità all’insegna della superiorità del popolo tedesco
b) Nel reprimere e vincere le inclinazioni sensibili, acquisendo così maggior libertà
c) Ricercando la libertà interiore isolandosi dal mondo.
d) Nel favorire il progresso dell’umanità e operare per il perfezionamento morale degli altri uomini
15. Che cos'è l'Assoluto per Schelling?
a) Autocoscienza
b) Natura
c) Dio
d) Identità di Natura e Spirito
10. Che cos'è la realtà oggettiva per Fichte?
a) La cosa in sé
b) Ciò che appare al soggetto
c) Una produzione dell’Io
d) Nessuna delle precedenti
13. Quale critica muove Schelling a Fichte?
a) Di aver appiattito il divario tra soggetto e oggetto
b) Di aver sottovalutato l’immaginazione come facoltà umana
c) Di non aver colto l’importanza dello spirito
d) Di aver ridotto la natura a mero ostacolo dell’Io
14. Qual è l'organo della filosofia, secondo Schelling?
a) L’attività estetica
b) L’attività teoretica
c) L’attività pratica
d) La volontà di libertà
16. Che cosa intende Schelling per Natura?
a) La realtà fenomenica
b) Lo Spirito visibile
c) L’io dei singoli soggetti empirici
d) Il regno dei fini
Cos'è l'arte per Schelling?
1. Imitazione della realtà empirica
2. La manifestazione della natura
3. La manifestazione dell’assoluto
4. L’estraniazione dell’idea
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